Da una settimana un post-it appeso al frigorifero recita un mantra che ha occupato la mia mente durante il viaggio di ritorno da Chiuro, paese della media Valtellina a circa dieci chilometri da Sondrio, posto a poco meno di quattrocento metri sul livello del mare. La frase scritta con inchiostro blu sul foglietto giallo dice “Non chiederti se ci sarà il sole o pioverà, se farà freddo o caldo. Non chiederlo ai metereologi. Esci e scoprilo tu stesso”.
E secondo me è una grande verità: troppo spesso ci si ritrova a indagare tra le previsioni del tempo, molte volte anche in anticipo di una o due settimane sulla data di una gita, lasciando che nella mente si insinui il dubbio sulle condizioni climatiche e, magari, anche la malavoglia visto che questo inverno incredibilmente lungo, ricco di neve e di pioggia, ci ha un po’ condizionato portandoci a credere che non tornerà più il bel tempo.
Domenica 7 aprile era il giorno dedicato al sessantacinquesimo compleanno del Moto Club Golasecca. Vista l’occasione si era deciso già a Gennaio di onorare la ricorrenza con un pranzo in compagnia che ruotasse intorno ai pizzoccheri: meta obbligata, quindi, la Valtellina. Partenza da Somma Lombardo alle 8.00, rotta verso il lago di Como, Lecco, Chiavenna, Saint Moritz, Passo del Bernina e rientro in Italia con arrivo a Teglio. Questa l’idea originaria. Purtroppo, come detto pocanzi, mesi e mesi di un inverno diabolico hanno gettato un po’ di scompiglio e quindi il tragitto è stato modificato, eliminando la parte oltreconfine e, soprattutto, le zone ad alta quota. Il nuovo percorso differiva dal precedente da Piona, paesello all’estremità nord del lago di Como, da cui ci si sarebbe diretti verso Sondrio e Teglio percorrendo la SS38 dello Stelvio. Si parlava comunque di pioggia e freddo, forse anche neve in Valtellina, e una parola iniziava ad aggirarsi tra i soci, strisciante e tentatrice come il biblico serpente: “automobile”.
Alle 7.00 del mattino di domenica 7 pioveva. Eccome se pioveva. Ma verso l’orario della partenza l’intensità è scemata per cui non vi era dubbio alcuno: tuta antipioggia, sedere sulla sella, e quattro o cinque chilometri di strada per raggiungere il ritrovo domandandosi se veramente ci sarebbero stati mezzi con due ruote di troppo. La risposta arriva dopo una manciata di minuti: nel piazzale ci sono già delle moto, altre arrivano poco prima dell’orario fissato per la partenza, e altre ancora saranno raccolte strada facendo a Busto Arsizio o in autostrada. Oltre venti moto, nessun motociclista con in mano un volante: una gran bella sorpresa, nulla di scontato viste le premesse. Il richiamo della motocicletta, il mezzo più bello inventato dall’essere umano, il più divertente, ha spazzato via la titubanza come un soffio fa cadere un castello di carte.
Con ritmo allegro percorriamo la SS336 di Malpensa, immettendoci nella A8 a Busto Arsizio e percorrendola fino a Origgio da dove ci si porta sulla A9 che lasciamo a Lomazzo. L’asfalto della superstrada e dell’autostrada, di tipo drenante, ci ha conservati puliti e asciutti. Ma appena si lasciano le grandi arterie e ci si immette nei centri urbani si ha a che fare con il classico asfalto lucido e rattoppato su cui la pioggia si deposita, mischiata a terra, olio e benzene. Per cui bastano poche centinaia di metri perché la moto si ricopra di fanghiglia grazie alla nuvola sollevata da chi ti precede. Attraversiamo la parte più a nord della Brianza per immetterci sulla SS36 che ci porterà a lambire i laghi di Pusiano, Annone e Garlate, per poi costeggiare tutto il ramo orientale del lago di Como da Lecco fino a Colico, punto in cui si trova il trivio che porta verso ovest lungo la Statale Regina, a nord verso Chiavenna e lo Spluga, e a est verso Sondrio.
Subito prima di Colico lasciamo la statale e percorriamo la strada che attornia una insenatura nota come Laghetto di Piona, nome preso in prestito dalla frazione di Colico altrimenti nota come Olgiasca. Da qui ci inerpichiamo per la zona abitata, a cui segue un tratto in discesa di un chilometro e mezzo, tutto in ciottolato, che dobbiamo giocoforza percorrere a velocità pedonale. Superate due colonne quadrate si entra nel priorato che occupa il promontorio del Montecchio su cui domina l’Abbazia di Piona. In pochi secondi lo sferragliare delle moto sulla strada dissestata viene spazzato via dalla quiete in cui è immerso il monastero. Osservando la cartina geografica si nota sicuramente la posizione strategica del promontorio, per cui è ovvio che, oltre al borbottio dei nostri motori, qui hanno risuonato i passi degli eserciti in marcia: dai Celti ai Romani, dai Longobardi ai Franchi, Spagnoli, Napoleonici e Tedeschi. Il silenzio ricoprirebbe per intero il parco, il chiostro e la chiesa del dodicesimo secolo, se solo non ci fossimo noi. C’è da mettersi in posa per la foto di gruppo, richiamando chi ancora si attarda in zona moto o chi ha già iniziato a vagabondare senza meta. Peccato che si stia celebrando la messa, per cui un monaco ci dà una tirata d’orecchie e ci invita ad osservare il silenzio e a portare le moto al di fuori del priorato. Diligentemente espiamo i nostri peccati subito dopo aver fatto un paio di foto, portando fuori dal parco le tante motociclette, ovviamente a spinta. Mea culpa.
C’è il tempo di un caffè e qualche chiacchiera in un bar, ma poi bisogna tornare in sella perché nel frattempo le lancette dell’orologio hanno già superato le dieci, e mancano ancora un’ottantina di chilometri a Teglio e al pranzo. Ripercorriamo il miglio in ciottolato e passando per Colico Piano ci immettiamo sulla SS38 che si srotola monotona fino Sondrio, interrotta da qualche gradevole curva dopo Morbegno, nei pressi della Valle di Tartano. Mentre le acque del fiume Adda, sempre alla nostra destra, proseguono la loro corsa che dalle Alpi Retiche le porterà a sfociare nel lago di Como, noi facciamo la nostra seconda sosta, questa volta per imbarcare carburante. Superato poi il capoluogo di provincia lasciamo la Nazionale dello Stelvio per salire di quota di qualche centinaio di metri, facendo aperitivo con una manciata di tornanti. Pochi chilometri e i motori si spengono a Chiuro, frazione di Teglio, dove il sole inizia a colorare di giallo il cielo grigio. Anche noi riprendiamo un po’ di colore: sfilando le tute antipioggia fanno capolino le varie tonalità di giacche e giacchette.
Ci sistemiamo in una sala con pareti ricoperte di pietre e soffitto basso ed arcuato, arredata con articoli in legno vivo che si rifanno alla tradizione locale. Nel complesso l’ambiente è molto intimo, raccolto, con un accenno monastico che però viene subito demolito dal nostro irriverente vociare. La sala, poi, è una cassa di risonanza dove le voci rimbalzano in ogni dove per cui si parla a voce alta. Quando poi inizia la carrellata di pietanze e si stappano le prime bottiglie di Rosso di Valtellina, il refettorio monastico diventa una baraonda a mo’ di mercato. Affettati e sottaceti, lardo e pane di segale, sono solo il preludio alle due specialità che tutti aspettano: ecco serviti i golosi “sciatt” (parola che in dialetto valtellinese significa rospi), le frittelline croccanti con un cuore di formaggio fuso servite come vuole la tradizione su un letto di cicoria, seguiti poi dal piatto re della zona, i pizzoccheri, tanto buoni quanti ipercalorici e ipercolesterolici, come la maggior parte dei piatti più gustosi. Torte fresche e una vera chicca come il sorbetto al Braulio ci accompagnano verso il caffè.
Quando i commensali sono appagati e i conti sono pagati torniamo verso le motociclette, vittime di un pesce d’aprile ritardatario: mentre il sole spadroneggia nel firmamento, una nuvola beffarda spruzza qualche goccia d’acqua che in breve tempo diventa pioggia. Purtroppo la pancia è troppo piena e le tute antipioggia non si chiudono più, perciò partiamo senza indossare la preziosa veste; fortunatamente dopo i pochi tornanti che ci riportano a Teglio la pioggia rimane alle nostre spalle a far compagnia ai valtellinesi.
Ripercorriamo la Nazionale dello Stelvio verso est, questa volta in sintonia con lo scorrere dell’Adda, per poi virare a sud in direzione di Lecco. Non c’è molto traffico, ma a sparigliare la falange motorizzata ci pensano i lavori di consolidamento delle pareti delle gallerie. Le due corsie su cui marciamo vengono separate fino ad occupare carreggiate diverse, e di conseguenza il gruppo si divide in due parti: una, quella più fortunata, trova la strada libera su cui stuzzicare un po’ l’acceleratore e in pochi minuti si trova all’altezza di Erba; l’altra invece procede molto a rilento perché la loro corsia è quella scelta dagli automobilisti. La distanza che separa i due gruppi gemelli si fa però importante, e dovranno quindi vivere di vita propria la seconda metà del viaggio di rientro. L’alta Brianza ci accoglie corrucciata sotto ad un cielo velato di grigio, ma ci consegna asciutti al varesotto e alle nostre dimore.
Termina così il compleanno del Moto Club Golasecca. Sessantacinque anni di motociclette, di persone, di luoghi visitati, di esperienze, di amicizie nate tra una piega e un panino, tra l’odore della benzina bruciata e il profumo della carne alla griglia. Sessantacinque anni, ma di pensione proprio non se ne parla: è già ora di preparare i bagagli per la gita sociale nel Montefeltro.