A cavallo tra i mesi di Maggio e di Giugno, metaforicamente come un passo di montagna: questi i giorni in cui un gruppo di amici ha deciso di lasciarsi alle spalle il caos cittadino e la calura estiva ormai all’orizzonte, per scappare verso luoghi più freschi e capaci di rilassare i nervi non solo grazie alla loro amenità, ma anche e soprattutto per merito della bellezza della natura (a tratti selvaggia, a volte lunare) che ha riempito gli occhi e stuzzicato i sensi.
Aspetto fondamentale di questa esperienza è stato quello di non aver deciso una meta intesa come punto di arrivo, ma di aver scelto luoghi collegati da strade da bere tutte d’un fiato, un orgia di curve e tornanti che, viste dall’alto, possono apparire simili ad un ornamento barocco. Tolti i primi chilometri che ci hanno sbarcati in Svizzera e l’ultima parte del viaggio di ritorno in autostrada, i tre giorni sono come fusi in un unica entità, intervallati da qualche ora di riposo, vissuti lasciandosi meravigliare da ciò che la grandezza della Natura e la piccolezza di un Uomo e della sua moto riescono a regalare.
Come fili che si intrecciano sull’ordito, i tre giorni sono stati uniti dalla pacatezza, dal divertimento, dalla semplicità, dall’importante capacità di adattarsi senza rivendicare la comodità da Vip, dall’amicizia, dalla voglia di stare incollati su quella sella fino allo stremo con la speranza di non dover tornare poi a casa, di rimanere a galleggiare a duemila metri sul livello del mare. Marco, Carmen, Roberto, Daniela, Massimo, Esterella, Mirco, Martina, Saul, Piers, Radek. Questi gli amici, le amiche, con cui è stata condivisa l’esperienza che ci ha portati da Somma Lombardo, nella prima mattina del 30 Maggio, verso la Svizzera ed il San Bernardino, l’Albulapas, Zernez, l’alta Val Mustair e lo Schweizer Nationalpark, Glorenza e poi di nuovo l’Italia, l’Alto Adige ed il Trentino con Merano, Bolzano, il Passo Costalunga, la Val di Fiemme e la Val di Fassa. Una giornata molto bella, calda, assolata, in cui il limpido cielo alpino con il suo blu intenso faceva da contrappunto al bianco gelido di fiumi e torrenti, mentre l’avantreno della moto divorava le ampie curve ed i tornanti più stretti come in preda ad un attacco bulimico, come un bimbo goloso che si avventa sulla scatola di cioccolatini.
Alle 18:30 meritatamente sono state occupate le camere dell’albergo e la doccia successiva ha rilassato un po’ corpo e mente che nell’euforia del viaggio non si sono curate delle dieci ore trascorse dalla partenza. Il secondo giorno si è presentato brusco come una curva pericolosa, cieca: chi l’avrebbe mai detto, la sera prima, che avremmo dovuto affrontare una intera giornata sotto l’acqua, in compagnia della grandine, a scivolare tra i fiocchi di neve, cercando punti di riferimento oltre la visiera immersi nelle nuvole basse? Basse per dire, visto che i 2.100 metri sul livello del mare li avremmo superati molte volte, quella Domenica.
Curve e tornanti si avvitano sui fianchi delle montagne maestose in un susseguirsi fulmineo, con un incedere ipnotico: sembra di essere risucchiati all’interno di un tornado che ti strappa dal suolo e ti innalza nel cielo. Discese da capogiro che ti riportano in valle come in caduta libera, con “esse” interminabili dove la moto rimbalza ubriaca da destra a sinistra e poi di nuovo a destra. Ai lati della visiera sfilano rigogliose le conifere, mughi e cirmoli, ed il dirupo scosceso; superati i 1.800mt di altitudine la vegetazione si dirada in pochi tornanti fino a scoprire la rossa roccia dolomitica, e i pini sono sostituiti da massi più o meno grandi e da terriccio, che guidano l’occhio più in alto dove si erigono spoglie le cime appuntite, spigolose, disordinate. E’ incredibile pensare che l’origine di questi giganti risalga ai sedimenti dei fondali oceanici e delle barriere coralline che 250 milioni di anni fa iniziarono ad accumularsi e a migrare dai tropici verso l’attuale posizione occupata dalla catena montuosa, innalzandosi poi a causa dello scontro tra la zolla europea e quella africana.
In un sali-scendi continuo scolliniamo attraverso il Passo Sella, il Passo Gardena, quindi il Falzarego, il Passo Giau, Colle Santa Lucia e infine il Passo Pordoi, a chiudere il cerchio che ha come inizio e fine Canazei. Nel mezzo, la sosta a Cortina d’Ampezzo per il pranzo e per la ricerca di un po’ di tepore che asciughi le ossa dal freddo e dall’umidità accumulate per tutta la mattina. Certo, il divertimento è stato un po’ limitato dalle condizioni meteo, dal conseguente fondo stradale che consigliava prudenza, dalle nuvole avvinghiate alle pareti delle alture che lasciavano solo intravedere la valle e l’orizzonte, immersi in un bianco traslucido, surreale. Ma le emozioni sono state comunque intense, al punto che discesi dal Passo Pordoi e rientrati a Canazei, qualcuno stava già valutando se concedersi un giorno in più di vacanze per ripetere l’esperienza appena vissuta, ma in compagnia di un sole fulgido e rassicurante.
Il giorno del rientro, lunedì 1 Giugno, un sole spaccone era lì al suo posto, a prendersi gioco di quel manipolo di motociclisti col broncio: ma questo tempo non poteva esserci il giorno precedente?!? La stizza però si dipana in pochissimi chilometri: il viaggio di ritorno non è un mesto addio dato in luoghi anonimi che ti spingono ad accelerare per arrivare a casa il prima possibile. Il Passo Manghen, di Sommo ed il Passo della Fricca sono stati una ghiotta occasione per gustare ciò che il Trentino Alto Adige sa offrire ai suoi ospiti: la salita stretta e tortuosa del Manghen che si interrompe bruscamente e muta in roccia con un colpo di scena teatrale ha fatto da catalizzatore per la produzione di adrenalina; il paesaggio che si contempla dall’alto, non più nascosto da nuvole e nebbia, che luccica distante incastonato tra i versanti lussureggianti, ha disegnato lo stupore sui volti; i sapori di un piatto tipico consumato all’aperto, con negli occhi il paesaggio verde e silenzioso che racconta tanto alle persone più sensibili; la sensazione di essere soli, di essersi perduti, minuti, lassù a duemila metri, in una condizione quasi pioneristica, che avvicina le persone e le rende grandi nell’amicizia. Poi però arriva implacabile il momento del ritorno, lungo quella solita via, ben nota e noiosa: l’autostrada diritta ed ininterrotta, che rende uniforme e grigio il paesaggio intorno, che molesta l’occhio ormai abituato alle rotondità del mondo delle alture, calda, asfissiante, rumorosa di pneumatici che risuonano nelle orecchie e ricolma di frenetiche automobili che creano un traffico dimenticato nei giorni dolomitici.
Mille chilometri, lo dice la strumentazione della fidata dueruote. E mille sono i ringraziamenti a tutti coloro che hanno reso indimenticabile questa esperienza: in primis a Marco e Roberto per l’impegno profuso nell’organizzazione dimostratasi impeccabile; alle loro consorti per la pazienza portata nei confronti di questo gruppo di motociclisti mattacchioni; a Massimo per la sua attività di cameraman; a Esterella per la sopportazione nei confronti dei suoi due compagni di stanza; a Saul e Piers per il loro entusiasmo; a Mirco e Martina per averci fatto compagnia nel giro dei passi dolomitici nonostante il tempo consigliasse di starsene rintanati a Merano; a Radek per aver divorato i tanti chilometri che separano la Polonia dal Sud Tirolo, per raggiungerci e stare con noi anche se per una sola giornata. E poi ci sono le comparse: Crina dell’Hotel Cristallo, per la compagnia e la simpatia; la cameriera pugliese ed il suo collega fru-fru del ristorante Laurin per l’autoritaria ospitalità; la proprietaria del medesimo ristorante per il tour delle suite profumate di legno; i Carabinieri di Ala che ci hanno bloccato per più di mezzora sotto il sole e che hanno rovinato la festa ad Esterella e soprattutto a Saul (a loro la solidarietà di tutti noi).
I riflessi della magia che ci ha incantati sono appena percepibili nelle foto scattate, ma la malinconia prende il sopravvento mentre le si sfoglia, e di nuovo monta la voglia di puntare verso Nord-Est per rinnovare il sortilegio.
Qui le immagini del Tour delle Dolomiti.