Capita a volte di voler descrivere un fatto, un evento, ma di non sapere da quale momento iniziare e, soprattutto, di non riuscire a riallineare i pensieri. Questo succede sovente quando l’oggetto del racconto appartiene ai momenti “belli”, quelli da ricordare più volte davanti ad una birra con gli amici che li hanno condivisi, da raccontare a orecchie che li hanno già sentiti cento volte ma che sono pronte a riascoltarli e a sorridere.
La gita ai passi francesi è sicuramente stata un’avventura “bella”, riuscita, grazie a tre elementi che si sono amalgamati dando origine ad un piatto ricco, saporito, tutto da gustare: la bellezza dei luoghi visitati, la compagnia frizzante, la libertà che sempre ci viene regalata dalla motocicletta. Elementi che si sono concentrati in poche ore, forse poco più di ventiquattro, come la benzina nella camera di combustione: non poteva non essere un’uscita col botto!
I posti che abbiamo conquistato con le nostri armi a due, tre o quattro cilindri, rappresentano sicuramente l’incanto della natura: parliamo dei passi francesi tra le Alpi Cozie e le Alpi Marittime, con le loro cime aguzze e desolate avvolte nel silenzio interrotto solo dallo sbuffare del vento, dal rombare delle moto, o dal fiato spezzato di un impavido ciclista che si arrampica su una strada infinta e impossibile. Chissà quale frastuono scorre su quelle pareti scoscese quando si scatena un temporale, o quanto freddo possa far compagnia ad una nevicata. Per fortuna sono situazioni che non abbiamo sperimentato, almeno per questa volta.
I paesaggi che si sono schierati davanti alla nostra testa puntata verso la strada sono stati i più vari: da quelli lunari che caratterizzano le quote oltre i 2.000 mt a quelli rigogliosi delle valli; emozionanti i canyon in cui ci siamo infilati tra una curva e l’altra, scomparendo nelle gallerie scavate nella roccia viva per riapparire poi poche decine di metri oltre, a volte accolti dal giallo sole, altre volte piombando nella penombra di una valle; i parchi cittadini ai bordi della strada hanno dato un po’ di respiro dopo la salita e la discesa senza indugi dai passi, segnati da percorsi disegnati senza senso come in uno scarabocchio, ma che proprio per il loro non-senso, per l’imprevedibilità, ci hanno fatto tanto divertire con le loro curve, i dossi, i punti ciechi ed il brivido dell’imprevisto.
Tanti sono gli amici, le amiche, con cui abbiamo convissuto per una sera, per una notte, nel rifugio Col d’Allos, poco oltre i 2.200 mt di altitudine; la compagnia è stata davvero speciale, complice il luogo surreale che alla sera è stato illuminato dalle sole fiamme traballanti delle candele che hanno avuto anche il compito di coprire con un po’ di pudore i simpatici eccessi di qualche biker annebbiato dalla fatica e, soprattutto, dalla miscela di kirsch, vino e genepì…benzina ad alto numero di ottani…
Tante persone quindi. Ventisei per la precisione, unite dal divertimento ma divise per scelta o per necessità. Sette mattinieri sono partiti già alle otto della mattina per approfittare della splendida giornata mangiando un po’ di chilometri in più rispetto il percorso del programma (meno di un centinaio) che però erano tutti su strade di montagna: il numero di passi raggiunti e superati è stato così il doppio rispetto al previsto, permettendo di superare la crisi di anoressia emozionale dell’autostrada con una mangiata bulemica di decine e decine di curve e tornanti. Il secondo gruppo, quello più numeroso, ha atteso le tredici per accendere le moto ed iniziare coi fuochi artificiali.
Anche se la “voce narrante” non dovrebbe mai parlare in prima persona, non posso non fare una considerazione: fino ad oggi mi sono entusiasmato nel vedere il gruppo di centauri mettere mano alla chiave nel quadro, tirare la frizione, pigiare sullo starter facendo tacere le persone e lasciando parlare i motori, sollevare il cavalletto, mettere la prima, e partire ordinatamente incolonnandosi a due a due, dando inizio alla danza del sinuoso serpentone. Questa volta, invece, ho potuto assistere all’arrivo del gruppone, attendendoli al di fuori del rifugio. Avvertire il rumore cupo ed ovattato delle moto giungere da qualche parte sul fianco della montagna, sentirlo farsi più definito, insistente, vedere sbucare dalla curva una, due, tre, dieci moto e così via, puntini che diventano forme colorate, poi motociclette, e riconoscere i caschi degli amici che le guidano; poi tutti insieme entrare nel parcheggio, spegnere i mostri e scendere da cavallo togliendo il casco, per vedere infine il sorriso degli occhi che non è quello di una barzelletta, ma della soddisfazione, del divertimento e della fatica. Davvero una gran bella emozione.
Tornando nei ranghi e alla cronaca, alla sera ci si è divisi poiché il rifugio non poteva ospitarci tutti; la cena non è stata quindi comune. Ma da quanto raccontato l’indomani mattina dagli uni e dagli altri, ci si è davvero divertiti. Al rifugio Col d’Allos, in particolare, la cena a lume di candela è stata conclusa da una lunga jam-session dove amici stonati non solo in senso musicale si sono lasciti andare ad una lunga cantata in compagnia, raccogliendo il plauso degli ospiti francesi, oltre alla loro simpatica derisione.
La domenica ci accolto con una nuova giornata assolata, che ci ha regalato un terso cielo sotto cui abbiamo bivaccato dopo la colazione e dopo aver preparato le fidate due ruote. Salutato Pierre, il nostro ospite, abbiamo ridisceso il Colle d’Allos e dopo la pausa pranzo abbiamo fatto rotta verso il Col de l’Izoard, mitica tappa del our de France, caratterizzato da un panorama vasto quanto asciutto, desertico, lunare. Poi giù a rotta di collo puntando il Sestriere, lungo la cui salita davvero non ci si è curati dell’angolatura del polso destro sull’acceleratore…tutti quei cavalli spingono in modo forsennato su una strada perfetta per far divertire i bambinoni seduti in sella…
Poi l’Italia, ed è casa, con le nuvole, il traffico, il caldo afoso, e l’interminabile autostrada diritta e snervante, proprio come quando da studenti si è costretti a seguire la lezione della materia tanto odiata.
Il gruppo si allunga, si sfoltisce, nascono tanti piccoli gruppetti, poi ognuno scivola sulla strada ben nota che riporta a casa, alla doccia, al divano, al proprio letto. Ma la notte sarà serena, e magari qualcuno sognerà di correre ancora una volta sulle strade dei nostri cugini d’oltralpe…