Piove. La temperatura atmosferica la puoi indicare con le dita di una unica mano. Davanti ci sono ancora più di cento chilometri. Tra i rivoli d’acqua che scivolano veloci sulla visiera cerchi di capire se là davanti a te, sui 1.600 metri di altitudine, troverai ancora la pioggia o solida neve; ma i monti sono coperti da una coltre compatta di nuvole grigie che nasconde con piglio sadico la risposta alla tua domanda. Con la coda dell’occhio registri una anomalia: alla tua destra non ci dovrebbe essere il Lago Maggiore a far capolino tra il guard-rail dell’autostrada? E perché c’è solo un ammasso bianco e informe di nebbia?
Un’occhiata fugace agli specchietti retrovisori: tre bagagli per due persone. Ottima idea approfittare della giornata più invernale che autunnale per fare una bella scampagnata sull’Alpe Devero in sella alla tua moto sgocciolante come il tuo naso quando sei raffreddato! E che dire della tua autostima che crolla a zero quando senti che ormai anche le mutande sono bagnate perché sei stato troppo pigro per sollevare le gambe ed infilare la tuta anti-pioggia al momento della partenza…
E’ tutto grigio, tutto bagnato, tutto freddo, non ci sono colori ai bordi dell’autostrada ma solo un mondo in bianco e nero. Però davanti e dietro a te ci sono gli amici, compagni di tante avventure, che condividono il tuo stesso viaggio e che tra poco condivideranno le ore che uniscono il sabato alla domenica, riparati e riscaldati dal calore di un rifugio di montagna. E allora tutto diventa più piacevole e la passione che ti spinge a stare in sella diventa come il tuo sole privato: ora la pioggia ti infastidisce solo perché sporca la moto che fino a un’oretta prima era tirata a lucido come per una festa.
Il fine settimana all’alpeggio del Devero ha sempre un che di rituale. Si parte sempre alle 14.00 da Galvanone Moto, ci si infila in autostrada subito prima di arrivare a Sesto Calende, ci si aspetta un attimo alla barriera e poi dentro e fuori dalle gallerie che ti catapultano in pochi chilometri in un territorio il cui nome sembra quello di un mezzo da granturismo: VCO, Verbano-Cusio-Ossola; ed in effetti da queste parti il turista, in particolare il moto-turista, riesce a soddisfare il suo fine palato stradale, e non solo quello… Il rito osserva i suoi tempi: ci fermiamo a Crodo per integrare le scorte di cibo con le prelibatezze tipiche del luogo come formaggi, salumi, pane declinato con vari ingredienti ecc., ma anche per regalarci un caffè e stare qualche minuto lontani dalla pioggia.
Da Crodo si giunge a Baceno e di lì inizia l’arrampicata verso il Devero, a cui si giunge transitando su una strada un po’ malconcia che però raccoglie in pochi chilometri diversi spunti paesaggistici: stretti ponticelli su torrenti, cascata, falsopiano panoramico, natura rigogliosa. Quest’anno però tutto questo è come se non esistesse: nebbia sopra di noi, nebbia a lato, davanti e dietro; gli occhi rimangono incollati ai pochi metri di strada visibili per cercare di capire dove inizia la curva e, soprattutto, dove finisce la strada stessa. Più che una salita verso un alpeggio sembra una risalita tra le nuvole: non ci stupiremmo di trovare ad un certo punto San Pietro e la porta del Paradiso. Invece troviamo il custode del parcheggio e la sbarra che regola l’ingresso. Niente cherubini. Ma in fondo siamo motociclisti, e ci divertiamo di più in qualche girone là sotto..
In poco tempo parcheggiamo le moto e saliamo al rifugio del CAI di Sesto Calende per depositare caschi e bagagli: la prima di una serie di salite grazie alle quali scarichiamo tutti i viveri, solidi e liquidi, oltre alle stoviglie e a tutto ciò che serve per garantire la sopravvivenza di diciotto affamati bikers. Il rituale si conclude con l’assegnazione dei posti nelle camerate, la vestizione con gli abiti civili, e l’accensione della stufa che in poco tempo ci scalderà fino ad asciugarci come pezzi di manzo affumicato. Per completare il cerimoniale restano solo due cose da fare: un po’ di pulizia, e dare il via ai lamenti da parte maschile con cui si chiedono a gran voce cibo e vino..
Qui termina la parte nota dell’avventura. Da questo momento in poi tutto può capitare, ed ogni anno capita qualcosa di diverso. Da questo momento in poi qualcuno potrebbe non ricordare i dettagli degli eventi perchè un po’ obnubilato, e non a causa della stanchezza… Come in un film poliziesco, fingiamoci Poirot e cerchiamo di ricostruire i fatti partendo dalle evidenze rilevate sul posto, catalogate nelle foto scattate sul luogo dell’indagine.
La stufa a pellet è ancora accesa al risveglio, la domenica mattina: dentro al rifugio deve aver fatto caldo la sera prima. Sul lato più lontano della tavolata sono allineate diverse bottiglie vuote, che fino a qualche ora prima contenevano vino rosso, rosee, bianco, e grappa: dentro al rifugio deve aver fatto molto caldo la sera prima. In cucina pentole, pentoloni, piatti e bicchieri sono stati lavati e riposti in modo ordinato per fare spazio; le zavorrine si sono date da fare, e i bikers si sono dati alla seconda delle tre cose che piacciono tanto a loro: mangiare, si intende, attività che occupa il secondo posto in classifica dopo l’andare in moto; la terza…beh…….
Su una panchina si nota un aerografo, e al suo fianco diversi barattoli di colore. Tenendo conto che tra di noi c’è Enzo, un provetto artista, si potrebbe pensare che abbia approfittato dell’ispirazione di questi luoghi per dipingere. In effetti ha dipinto, ma non una tela, un casco, la carena di una moto, ma bensì volti, braccia, spalle: una seduta di tattoo come nella migliore tradizione dei raduni bikers, ma i delfini, le rose, i draghi dipinti nella notte svaniscono come sogni al mattino, perchè si tratta di colori che si dissolvono con un po’ d’acqua.
Sulla credenza c’è un computer collegato a tre casse amplificate. Questo è strano: che ci fa una diavoleria tecnologica in un rifugio di montagna popolato da motociclisti? La risposta ce la dà Francesco, che mentre tutto il mondo brulica di attività se ne sta quatto quatto sotto le coperte, con un forte mal di gola, quasi afono, perchè la sera prima ha dato tutta ma proprio tutta la voce per intonare decine di canzoni sparate ad alto volume dal karaoke. Intonare forse è la parola sbagliata nel caso di Francesco: ma non se la prenda, perchè era in buona compagnia… Se qualcuno non si immagina cosa riescano a fare dei bambinoni come noi quando sono chiusi in pochi metri quadrati e con i freni inibitori sbloccati dal vino, deve solo richiederci i video ripresi il sabato sera da Daniela.
L’indagine prosegue e raggiunge il punto più grottesco: su una sedia c’è una bambola gonfiabile, alta poco più di mezzo metro. Ma cos’hanno combinato questi mattacchioni? In realtà si tratta di un regalo che le gentili signore presenti hanno fatto ai loro compagni e amici maschi. Le prove fotografiche documentano che anche in questo campo Francesco ha dato il massimo. Questione di feeling.
Domenica mattina: il rifugio è silenzioso, vuoto. Il sole regala colori e calore in questi luoghi che durante la notte hanno raccolto qualche fiocco di neve. La compagnia si è scrollata di dosso la rigidità della notte e dopo una buona colazione è uscita a respirare l’aria sana della montagna, a passeggiare lungo gli spazi aperti fino a lasciarsi ammaliare dalla magia del Lago delle Fate. Una sorta di catarsi, di purificazione dagli eccessi che hanno accompagnato le lancette dell’orologio la sera prima. Lasciarsi alle spalle le risate, le grida, le danze, per riappacificarsi col silenzio, con l’immobilità millenaria dei monti, per riprendere possesso della propria fisicità camminando sulle proprie gambe. Questa è la magia di un weekend sull’Alpe Devero. Ti porti dietro lo stress e le tensioni lavorative, affettive, personali; te ne liberi sfogandoti il sabato sera con tante risate; ti svegli la domenica mattina rasserenato, e fai ritorno a casa più leggero.
Se il nostro Poirot fosse giunto al rifugio la domenica pomeriggio non avrebbe saputo nulla di tutto questo: dopo il pranzo ognuno ha dato il suo contributo per pulire e riassettare la cucina, le camere, i bagni. Tutto è tornato nello stato di pulizia e quiete che abitava quella piccola casupola prima del nostro arrivo. Le cose dette, le musiche, i cori e le russate, i sapori e gli odori: tutto questo ormai appartiene solo ai ricordi.
E assieme al sereno che si è fatto spazio nella mente, anche il sole ha avuto la meglio sulle nuvole. Lungo la discesa a valle tutto è come doveva essere: il guardiano del parcheggio ci sorride e saluta; la strada è ben visibile dopo che la nebbia è evaporata; la cascata è lì al suo posto e sotto ai ponticelli l’acqua scorre gelida e cristallina. Il giallo con cui l’autunno tinge la natura ci circonda e ci accompagna fino a Crodo, dove sostiamo per il caffè del saluto e per ultime compere. A questo punto il Presidente dà il “rompete le righe” decretando la fine ufficiale della gita.
Le prossime tappe saranno Civenna, poi la gita nella nebbia e infine quella del gelo. L’inverno forse non ci darà molte possibilità per divertirci in sella alle nostre moto. Neve, ghiaccio, freddo intenso, potranno anche obbligarci a mettere un telo su quel mezzo che tanto amiamo, ma non riusciranno a raffreddare l’amicizia e la cordialità che unisce le persone che condividono una passione.